lunedì 24 agosto 2015

Il triste Agosto del Parchetto


 




"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. 







All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre.


 



È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore" 




Peppino Impastato


VITERBO 24 Agosto 2015
 Centro Civico Sportivo (Parco delle Querce). Segnaliamo cantiere in stato di abbandono all’interno del parco da più di 20 giorni...Oltre a non rientrare nei termini di esecuzione lavori, come si evince dal cartello inizio/fine lavori (giorni scaduti). Il materiale cosparso nel cantiere (polistirolo, plastica etc.) col vento finisce nel parco e parcheggio circostanti. Materiale costantemente raccolto da giorni dai residenti e cittadini per non aggravare ulteriormente la situazione anche al di fuori.


Gruppo Quartiere Santa Barbara Viterbo

Il "Parco delle Querce" a Viterbo, un salvataggio ancora possibile?

Quando ero adolescente andavo al liceo a piedi, passando vicino a campi aperti dove pascolavano le pecore. All’epoca vivevo a Monte Mario, vicino all’Ospedale Santa Maria della Pietà, in una zona di Roma che aveva conosciuto da poco un cambiamento urbanistico significativo: case al posto di terreni agricoli. La periferia romana, come quella della stragrande maggioranza delle città italiane, è uno strano territorio: palazzi e strade che mangiano scorci, alterano parco delle querce viterbo 1colline e campi. Una sorta di non luogo che lentamente si viene a riempire di manufatti, oggetti ed abitudini. E qua e là sono distribuiti lembi sopravvissuti al cambiamento, ormai decontestualizzati (cosa c’entrano le pecore in una città?).  
E’ evidente e sotto gli occhi di tutti che nel giro di trent’anni, il territorio italiano ha conosciuto una progressiva cementificazione. Lo attestano, tra l’altro, i dati pubblicati dall’ISPRA, in un suo recente rapporto, con tassi di inurbamento molto significativi. Circa 14 milioni di italiani vivono in centri urbani medio grandi ed ormai le città si espandono, finendo per inglobare frazioni e piccoli comuni limitrofi. Che questo processo sia divenuto certezza “politica” è attestato anche da una recente legge (n.10/2013) che porta il  titolo: “nuove norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”. Una legge dal lungo iter di approvazione che raccoglie pezzi di varie disposizioni già esistenti e alcune piccole novità: la giornata nazionale dell’albero (già “Festa dell’albero” di baccelliana memoria), le disposizioni relative ad un albero per ogni neonato (di rutelliana memoria), la gestione e salvaguardia delle dotazioni standard territoriali (tradotto in termini pratici: le varianti per il verde pubblico ed i servizi), la valorizzazione delle alberature urbane ai fini del contenimento della CO2, le misure per lo sviluppo di aree verdi urbane, le norme sugli alberi monumentali. Sacrosante e necessarie disposizioni che vanno a coprire alcune carenze e dimenticanze, che sanciscono, però, un ribaltamento di prospettiva:  la città intesa come luogo predominante rispetto al resto del territorio
Se, dunque, oggi vediamo scomparire la popolazione dai piccoli centri montani (che andrebbero, invece, valorizzati ed aiutati), concentrare le attività lavorative e commerciali solo nei grandi centri o in poli industriali dall’alto impatto inquinante, pianificare assi di scorrimento e quartieri che ruotano esclusivamente intorno ai centri commerciali, appare evidente che tutto il resto non interessa più. Non interessa la gestione sostenibile dei boschi (da cui si potrebbero ritrarre profitto ed occupazione), non interessa la conservazione della biodiversità (vera ricchezza del nostro Paese), non interessano la valorizzazione degli spazi rurali ed il rilancio delle attività non impattanti.parco delle querce viterbo 2
Ma la qualità della vita nelle medie e grandi città è così elevata? A giudicare dalle classifiche stilate ogni anno dalle ONG, utilizzando vari parametri, si direbbe di no. A scorrere i social network, poi, sono prevalenti le cronache di disservizi, scarsa manutenzione, incuria, distruzione del bello. La convivenza tra esseri umani è difficile. Ed è difficile la convivenza con il verde (pubblico e privato), nonostante le buone premesse della legge 10. La preoccupazione della quasi totalità delle amministrazioni è la gestione delle alberature stradali: sono decine gli articoli di giornali relativi a tagli indiscriminati di filari, piante isolate ecc. per motivi legati all’incolumità pubblica; ma non mancano anche le controversie tra vicini: gli alberi, è notorio, sporcano. Inoltre, gli alberi hanno radici che distruggono muretti, dissestano strade, oppure chiome che tolgono la visuale o macchiano con foglie e resina le preziose carrozzerie delle nostre auto. L’albero, in effetti, in città si trova male. Né potrebbe essere diversamente: ha bisogno di spazio, vento, acqua e luce. Dove trovarli tra marciapiedi, cordoli e palazzi? 
Esiste però anche il partito di coloro che apprezzano il verde, che sono attenti alle curiosità botaniche, che reputano utile piantare un albero per ricordare una persona cara (un neonato o un parente scomparso, magari in tragiche circostanze), che considerano gli alberi sistemi di depurazione dell’aria. Come anche ci sono cittadini che amano prendersi cura degli spazi verdi e se ne fanno carico. In base alla legge in questione, queste persone sono, almeno in teoria, agevolate per motivi di ordine economico e sociale. Sono favorite, infatti, proprio le iniziative promosse dai comitati cittadini. Gli spazi verdi comuni curati dalla collettività consentono di disporre di importanti punti di aggregazione, di rinsaldare valori di vicinanza e senso civico, di arricchire, in sostanza, la qualità della vita. Senza incidere più di tanto sui bilanci comunali. Le amministrazioni avvedute ne dovrebbero tenere debitamente conto ed, in effetti, sono molteplici le attività promosse in vari Comuni, soprattutto per ciò che riguarda gli orti urbani, pratica ormai ampiamente conosciuta e valorizzata, ma anche l’apertura di sportelli verdi per aiutare i cittadini a risolvere le problematiche legate agli alberi. 
parco delle querce viterbo 3La mia attenzione è, purtroppo, caduta, ormai da alcuni mesi a questa parte, su un caso che  sembra andare nel senso inverso auspicato dalla legge 10. Si tratta del “Parco delle querce”, nel quartiere Santa Barbara a Viterbo. Com’è noto, questa graziosa cittadina, con i suoi 67 mila abitanti, aveva mantenuto, almeno fino a qualche anno fa, il suo tessuto urbanistico di origine medievale. Il quartiere San Pellegrino, dalle caratteristiche vie strette e dalle piccole abitazioni, è stato lentamente abbandonato dai viterbesi che hanno preferito ricollocarsi nei nuovi quartieri (dormitorio), sviluppatisi nel corso del tempo, in abitazioni più moderne e dotate di ogni comfort. Una scelta legittima e comprensibile che ha finito, però, per mangiare nuove parti del territorio e trasformare il paesaggio intorno alla città, in un curioso e spesso stridente contrasto tra il “nuovo”  (che invecchia presto e male) e il “vecchio” (che mantiene una sua armonica grazia). 
Orbene, il progresso e lo sviluppo avevano lasciata intatta una piccola porzione di verde, nel quartiere Santa Barbara, creato a partire dal 1990 e con più di 5.000 abitanti, caratterizzata da piante di ulivo e da tre querce (da qui il nome dato dai cittadini). Quella striscia, non particolarmente pregiata o di significativa importanza naturalistica, è una traccia della commistione tra spazi urbani e spazi agricoli, spesso di piccole dimensioni, curati un tempo dall’uomo a ridosso della città. Un luogo di transizione, dolce, rimasto sospeso,  adesso, in un contesto di palazzoni e parcheggi. Il “Parco delle querce” ha vissuto per alcuni anni momenti di convivenza creativa, curata da cittadini volenterosi che lo hanno trasformato in un luogo di incontro e scoperta, soprattutto per i più piccoli: laboratori di musica, di botanica, di danza; ma anche luogo per pic-nic, un posto dove far passeggiare gli animali da compagnia, insomma un tranquillo punto di aggregazione 
Tutto questo è stato spazzato via in pochi mesi dalla decisione del Comune di realizzare in tale area un nuovo impianto sportivo a servizio del quartiere. Senza tenere conto che, a pochi metri di distanza, vi sono già degli impianti sportivi in parziale abbandono che potevano essere riqualificati. Il Comitato cittadino si è opposto, ha lanciato anche una petizione via change.org (purtroppo cresciuta solo molto lentamente e questo disinteresse, appare ancora più stridente con la realtà del luogo) , ha cercato di sensibilizzare la Giunta comunale, la Forestale ha effettuato i sopralluoghi, ma nulla è servito. I lavori sono iniziati: terreno sconvolto, parcomovimentazione di mezzi, colata di cemento, alberi potati, capitozzati, spostati (e destinati probabilmente a morire).  Qual è il paradosso di questa piccola storia? Che non vi è nulla di illegale o vietato: in base agli strumenti urbanistici il terreno del “Parco delle querce” può avere una destinazione diversa dall’attuale; realizzare una palestra è fornire, comunque, un servizio al quartiere; le delibere e gli atti sono tutti pubblici e finora non sono state ravvisate irregolarità amministrative. Eppure la vicenda stona, in maniera evidente. Da un lato la buona volontà delle persone comuni, il loro desiderio di far vivere uno spazio a misura umana, con creatività e talento. Dall’altro, una scelta apparentemente utile per la cittadinanza che, però, non tiene conto delle necessità reali della popolazione e del sano principio di mantenere in buon ordine ciò che già esiste (vedi i campi sportivi di cui sopra) senza creare nuove strutture e divorare territorio.
Cosa è possibile immaginare nei prossimi mesi? Il manufatto verrà terminato ed entrerà a poco a poco nella visuale e nelle abitudini dei viterbesi, fino a cristallizzarsi nella memoria, come qualcosa di familiare e sempre esistito.  Spariranno, invece, gli aspetti immateriali (che sono i più importanti): le dimensioni del gioco e dell’accoglienza, degli spazi aperti e della convivenza. E sparirà la memoria di qualcosa che è esistito per volontà condivisa. La perdita del “Parco delle querce” è un altro tassello che va a comporre il mosaico del brutto. Quel brutto a cui ci siamo assuefatti e contro cui non reagiamo più, convinti di vivere, chissà perché, in un  mondo perfetto. E deserto. 

Nicolò Giordano